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di mestieri fasulli e di altri fatti

Quella che segue è una nota di accompagnamento alla giornata intitolata di mestieri fasulli e di altri fatti, in programma per il 22 aprile.

A ispirare il concept, il titolo e il format dell’iniziativa è il posizionamento di Carla Lonzi (1931-1982), storica dell’arte e filosofa italiana; figura di cruciale importanza per la sua attività di critica indipendente (portata avanti con innegabile passione tra gli anni Cinquanta e fino alla fine degli anni Sessanta) e per il costante impegno politico anche nell’ambito del femminismo (nel 1970 fonda, insieme a Carla Accardi, “Rivolta Femminile”); ma soprattutto per il suo deciso e coraggioso rifiuto di aderire a un modello di critica affermato, consolidato, eppure, ai suoi occhi, decisamente problematico.

Il celebre “Autoritratto” (volume edito per la prima volta in Italia nel 1969) racchiude moltissime conversazioni libere tra Lonzi e diversi artisti ai quali la stessa era in qualche modo legata. Dunque, il modo in cui quelle discussioni verbali sono state ri-montate vuole riprodurre la dimensione complessiva di un “convivio” realmente esistito – racconta l’autrice. “Autoritratto”, in sostanza, agisce il rifiuto (del critico) di parlare per conto dell’artista, o al posto suo: Lonzi abbandona ogni pretesa di gestione e controllo e lascia che sia quest’ultimo a parlare da sé e per sé. Anziché condurre le interviste con domande prestabilite, l’autrice fa in modo che sia l’artista a scegliere le modalità, i temi, i termini e i tempi più adeguati per raccontarsi. Il volume del ’69, in questo senso, è una vera e propria traduzione in forma scritta del suo modo di vivere ‘nell’arte’, con gli artisti, attraverso le opere. Un approccio che le ha procurato non pochi conflitti (nei confronti di se stessa e con gli altri), fino alla scelta di abbandonare definitivamente la scena artistica. Solo in tempi tutto sommato recenti, a questa opera fondamentale – e alla sua autrice – viene riconosciuto il merito di avere operato un taglio necessario all’interno del panorama della critica d’arte; non tanto perché in essa si chiamano in causa la complessità e le contraddizioni del rapporto tra critico-artista-pubblico, quanto per la sua radicale messa in discussione del potere della critica in sé, ritenuta un “mestiere fasullo”, che aliena e allontana il carattere proprio dell’arte.

Come nota Laura Iamurri nella sua prefazione alla seconda edizione di “Autoritratto” (2010), il volume propone una immersione nel vissuto dell’arte contemporanea: nei pensieri e nei processi del fare arte, nelle difficoltà delle relazioni con la critica e con la società, ma anche in una miriade di questioni apparentemente laterali. Negli anni in cui si dedicava alla critica, Lonzi avvertiva il ruolo critico come “una codificazione di estraneità al fatto artistico insieme all’esercizio di un potere discriminante sugli artisti.” Secondo la sua visione:

Magari senza esserne cosciente, il critico fa il gioco di una società che tende a considerare l’arte come un accessorio, un problema secondario, un pericolo da tramutare in diversivo, un’incognita da tramutare in mito, comunque un’attività da contenere. E come contenere? Appunto, attraverso l’esercizio della critica, che opera sulla falsa dissociazione: creazione-critica. […] In questo quadro la professione critica manifesta tutta la sua funzionalità rispetto a un Sistema. Ma perché non chiedersi se tale modo di far consumare l’arte è compatibile col senso dell’arte […]? Perché accontentarsi del ruolo di estraneità, sia pur elevato a condizione stessa del giudizio? […] Da dove proviene il bisogno di una garanzia?

Se alla figura del critico di allora sostituiamo quella dell’attuale curatore; se accogliamo gli interrogativi di Lonzi e adottiamo il suo sguardo per osservare il ruolo e i metodi della curatela dei nostri giorni, forse possiamo ammettere che, da una parte, l’estraneità di quegli anni Sessanta oggi può dirsi in parte risolta (nel contesto di molte pratiche curatoriali che si fondano sulla totale complicità con l’artista, ad esempio); dall’altra, quel potere discriminante sugli artisti non ha certamente smesso di esistere e produrre i suoi effetti. Allo stesso modo (sia che provengano dal fronte della critica, dalla curatela o dalla sfera della creazione artistica), la ricerca di ‘verità’ e garanzie a tutti i costi sembrano occupare ancora un posto in prima fila.

Detto questo, non si tratta di eleggere l’artista quale soggetto intoccabile e indiscutibile della società: non si vuole proporre un “feticismo dell’artista” e una demonizzazione del curatore. Semmai, come suggerisce sempre Lonzi, si può ancora pensare di richiamare l’artista “in un altro rapporto con la società, negando il ruolo, e dunque il potere, del critico in quanto controllo repressivo sull’arte e gli artisti, e soprattutto in quanto ideologia dell’arte e degli artisti in corso nella nostra società.” Allora, e ancora una volta, si tratta più che altro di ri-pensare costantemente il proprio ruolo, le proprie istanze e la propria posizione, in relazione ai ruoli, alle istanze e alle posizioni degli altri; di rendersi disponibili a ri-negoziare il proprio sguardo; di predisporsi alla cura come gesto politico totale, complessivo e non esclusivo; di incentivare un modo “largamente comunicativo e umanamente soddisfacente”.

 

[tutte le citazioni sono tratte dalla seconda edizione del volume Carla Lonzi. Autoritratto, ri-edito nel 2010 da et al. Edizioni (Milano), con una prefazione di Laura Iamurri.]

[immagine di copertina: Zoltan Fazekas, R#1747, 16 febbraio 2017.]